Astrattismo e spiritualità

In un momento in cui anche gli storici dell’arte europei, dopo gli stimoli giunti da oltre oceano, si interrogano sul ruolo che il mondo spirituale in senso lato e la Società Teosofica nello specifico hanno esercitato sullo sviluppo dell’arte astratta, Enrico Sempi riprende in mano i pennelli e ci propone acquarelli - astratti appunto - di grande interesse.

Le direttrici che “segnano” il suo “fare” sono indicate da lui stesso, artista, nonostante la ritrosia nel definirsi tale: con il titolo della mostra e il suo scritto, egli collega in qualche modo i suoi lavori - oltre a suggerirne una possibile interpretazione - alle forme pensiero che i veggenti A. Besant e C.W. Leadbeater, agli inizi del’900, descrissero e pubblicarono in un testo, con immagini realizzate da artisti che interpretarono le loro visioni.1

Con una sua pratica sperimentale, a cui sottende una fede assoluta nel segno non razionale, nel gesto creativo e nella potenza del colore, Sempi realizza opere che tutto hanno, fuorché il sapore di esercizi o giochi di stile. Da quel fondo nero, che assume l’energia di un’inconscia sapienza, emergono colori vibranti e pregni di significati altri e profondi: i verdi seppiati o acidi, i lilla rosati e gli azzurri cerulei paiono luci ed ombre che scolorano e fluttuano, segni di un alfabeto assoluto.

Gli esiti formali potrebbero avvicinare le opere di Sempi a quelle ricerche che hanno interessato l’arte già dagli anni ’50, come l’alfabeto segnico di Giuseppe Capogrossi, artista del movimento informale, che vi aderì con le sue composizioni di forme arcaiche fuori dal tempo e dalla storia. Ma è all’espressionismo astratto geometrico - se si vogliono identificare nobili precedenti, più che sterili definizioni - a cui bisogna guardare, per individuare riferimenti più stringenti; emergono allora assonanze con le campiture cromatiche semplici, dai margini incerti, di Mark Rothko. In modo simile, anche qui, si riafferma la dimensione mitica e simbolica della superficie, con un alfabeto che trova le proprie radici nell’inconscio; da dove, peraltro, sarebbe emerso - secondo lo studioso G. D’Amato2- il segno progenitore di tutti i linguaggi umani, l’AUM, una sorta di dono divino da cui sarebbero derivati numeri e lettere, segni dello zodiaco e forme geometriche.

Con le sue indagini sulle risonanze del colore, il nostro artista-teosofo si inserisce anche in un filone di ricerca in cui altri pittori-teosofi hanno operato: pensiamo alla pioniera svedese dell’arte astratta Hilma af Klint, che ha esplorato i campi di energia e l’aura del colore e alle composizioni geometriche dell’artista svizzera Emma Kunz.

E non credo sia un caso che, nel suo testo, Sempi abbia citato Bracha L. Ettinger, l’artista psicoanalista e teorica dell’estetica, che ha voluto testimoniare il suo credo nel potere taumaturgico dell’arte, trasferendosi a vivere e lavorare a Tel Aviv, una terra dilaniata da continui scontri. È lei che sostiene: “Il colore nell’opera d’arte contemporanea non “rappresenta” il mondo. Agisce su di esso e lo attiva”.3

Crediamo che, quando un’opera d’arte emoziona chi la guarda, oltre a chi la crea, essa abbia la capacità di attivare in quel momento una sorta di cura dell’anima. E questo è uno dei preziosi aspetti degli acquarelli esposti alla mostra.

Marina Tappa

1.A. Besant, C. W. Leadebeater, Thought Forms, 1901.

2.G. D’Amato, AUM Principio fondamentale originario delle Arti umane, I Dioscuri, Genova, 1987.

3.Bracha L. Ettinger, Pre-immagini traslucide. Risplendere attraverso la pittura, in Catalogo della mostra L’emozione dei colori nell’arte, Torino, 2017, p. 77.